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Il "no" nel referendum sull'aborto
Venezia, luglio 1981
dal discorso in occasione della Festa nazionale delle donne

...) Oggi si tratta di prendere piena coscienza, da parte nostra e da parte di tutte le forze democratiche, che le donne sono portatrici di esigenze, di bisogni e anche di proposte che indicano soluzioni nuove a problemi che interessano tutti gli esseri umani nei rapporti tra loro, soluzioni che esigono un intervento in campi e modi nuovi dello Stato, delle istituzioni, del governo centrale e delle amministrazioni locali. Ecco perché diciamo che le questioni poste dalle masse femminili entrano nella politica e la cambiano nel senso che ne allargano l'orizzonte, la arricchiscono di contenuti prima inesistenti, mutano molti dei modi in cui la politica si è espressa finora, e fanno quindi aumentare la responsabilità di ogni singolo dirigente politico.

La battaglia per il NO sulla legge dell'aborto e le conseguenze che si devono trarre dal suo esito è un caso esemplare che indica in quale direzione deve mutare la politica. Si è discusso durante e dopo la campagna elettorale se il referendum fosse o no una lotta politica. Chi lo ha messo in dubbio o non ci crede dimostra di avere ancora una concezione della lotta politica che la restringe soltanto ad una competizione tra i partiti e sul governo. In realtà, lo scontro sul referendum è stato una battaglia politica e ideale nel senso più alto, se ci decidessimo a capire che la politica è chiamata a considerare come suo compito anche la soluzione, per la parte che le spetta ma senza prevaricare (e quindi senza pretendere di essere totalizzante), di quei problemi che sono posti quotidianamente dallo svolgersi della vita personale e familiare, dei rapporti interpersonali in questo attuale, determinato contesto sociale e culturale.


Quali erano (e quali sono) i problemi e le esigenze venuti alla ribalta con il referendum sull'aborto? La consultazione popolare verteva in primo luogo sulla conferma o sull'abrogazione (o mutilazione) di una legge buona, che ha avviato il superamento dell'aborto clandestino. Ma non si può dire che i NO siano stati dati solo in base ad una considerazione per così dire pragmatica sull'utilità della legge sicché, una volta respinta la sua abrogazione, non rimaneva che il compiacersi della larga vittoria dei NO e tutto finiva lì. In quei NO, invece, c'erano molti altri motivi, sia politici che ideali.

Intanto, quel voto ha espresso la determinazione inequivocabile della donna ad affermare la propria autonomia, responsabilità e libertà in una decisione delicata come quella di essere o no madre. Poi, e il fatto non era scontato, in quel 68% dei NO si è espressa una larga comprensione e partecipazione di uomini di ogni età ad un dramma che grava sulla donna. Ma si è espressa anche la volontà di una grande maggioranza del paese di avere uno Stato che non lasci le persone sole di fronte a certi problemi umani, ma che intervenga, in tutte le sue articolazioni, con provvedimenti che aiutino le persone (in questo caso la donna) a risolverli nel migliore dei modi possibile per i singoli e per la società, e al di fuori di ogni interferenza confessionale o ideologica lesiva alla sovranità e laicità dell'ordinamento statale.

Infine, durante la campagna e nella vittoria dei NO, sono confluiti mille motivi che sono strettamente legati alla questione della regolamentazione giuridica dei casi di interruzione della gravidanza: dalle questioni dell'effettivo e pieno superamento dell'aborto clandestino, che è ancora molto diffuso, a quelle della prevenzione degli aborti in generale e quindi alle questioni della procreazione libera e responsabile, dell'informazione sessuale, della sessualità, della tutela sociale della maternità, fino alle questioni più generali che chiamano in causa il tipo e l'indirizzo dello sviluppo economico, la politica della spesa pubblica, le scelte dei poteri centrali e locali, gli orientamenti ideali e culturali.

Purtroppo, dopo il 17 maggio, tutti questi temi non sono stati ripresi e sviluppati. E non solo per il prevalere di una concezione riduttiva della politica: ha pesato e pesa anche una concezione restrittiva della lotta sociale e della vita della società, per la quale si considerano le masse e i loro movimenti unicamente in quanto esprimano rivendicazioni di tipo economico-sindacale e non si dà il giusto peso a masse sindacalmente non definite e organizza bili (le donne, i giovani, gli anziani, il sottoproletariato urbano, ecc.), ma che pongono problemi ed esigenze non meno rilevanti.

Va superata, dunque, ogni incomprensione e sottovalutazione del valore politico e ideale del voto di due mesi fa, e bisogna riprendere con lena e con tenacia in tutto il paese la battaglia su tutte le questioni emerse durante il referendum. Anzitutto, quindi, quella per la piena e completa applicazione della legge sull'aborto e dell'altra legge, ad essa connessa, sui consultori. Queste due leggi sono largamente inapplicate in una larga parte dell'Italia, in particolare nel Mezzogiorno e nel Veneto, dove la maggior parte dei governi locali è dominata dalla Dc. Ci vuole dunque una pressione di massa costante (e non solo delle donne) per esigere l'applicazione di queste leggi; e ci vuole una continua e incalzante nostra iniziativa nelle assemblee elettive in tutto il paese, soprattutto nel Sud e qui nel Veneto: sia dove siamo forza di governo sia dove siamo all'opposizione.

 

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