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"Si iscrisse giovanissimo alla direzione del Pci", diceva di lui quella linguaccia di Giancarlo Pajetta. Voleva dire che la sua carriera non era avvenuta nel fuoco della lotta, ma nell'apparato del partito. Diventa segretario del Pci nel 1969, dopo che Luigi Longo (rappresentante della vecchia guardia) viene colpito da un ictus. Uomo di apparato lo è davvero, ma con qualcosa di diverso: sassarese di antica famiglia, timido, alieno dalla ricerca della popolarità. Nel 1973 il primo strappo. Dopo il golpe in Cile contro Allende, elabora il "compromesso storico": le tentazioni autoritarie si possono battere solo con un accordo tra i grandi partiti popolari: è l'inizio dei governi di "unità nazionale" con la Dc. La sua strategia porta il partito al massimo del consenso, prima alle elezioni amministrative del 1975 e poi nel 1976 alle elezioni politiche, con il 33 per cento. Segue la breve stagione dell'eurocomunismo, in cui Berlinguer cerca una via occidentale al socialismo con personaggi segnati dalla storia come il francese Georges Marchais e lo spagnolo Santiago Carrillo. In Italia sono gli anni del terrorismo montante; il governo di unità nazionale viene interrotto dal rapimento di Aldo Moro: nei 55 giorni del rapimento, Berlinguer terrà la linea della fermezza, ma un anno dopo abbandonerà la linea dell'unità nazionale. La presidenza americana a Reagan rimette però il Pci nell'angolo. Berlinguer diventa apostolo dell'austerità e della "questione morale". Nel 1981, di fronte al golpe di Jaruzelski, dichiara che l'Urss ha esaurito la sua "spinta propulsiva" e si dichiara più tranquilli sotto l'ombrello della Nato, che nel patto di Varsavia. Subisce l'ascesa di Craxi, muore nel 1984 per ictus durante un comizio. Il presidente Pertini accompagnerà la bara da Padova a Roma, dove si svolgono funerali di popolo immensi. Una settimana dopo, alle elezioni europee, il Pci risulterà essere il primo partito italiano.

 


Il timido sardo che portò il Pci alla vetta

AMIRACOLO ECONOMICO. È un giovane dirigente del Pci e pochi si accorgono di lui.

ANNI SETTANTA. Segretario del Pci, accompagna il partito nella sua ascesa. All'inizio sembra un personaggio senza carisma rispetto alla "vecchia guardia", ma si guadagna il rispetto dentro e fuori il partito. Propaganda l'austerità e la frugalità dei costumi rispetto al mondo moderno, propone la "questione morale" come primaria nella gestione della cosa pubblica. Il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro segnano la fine della sua politica di unità nazionale.

ANNI OTTANTA. Subisce, a sinistra, l'attivismo di Craxi. Torna all'opposizione, propone una serie di piccoli strappi nei confronti dell'Urss. La sua morte drammatica lo rende un'icona della "bella politica". Rispetto a quelli di Togliatti, i suoi funerali sono più grandi e più ecumenici. Diventano il modello del "funerale italiano".

TANGENTOPOLI E DOPO. L'alfiere della moralità pubblica comincia a declinare. Viene accusato di non aver strappato abbastanza con Mosca, di non aver capito l'Italia, di aver sostituito la politica con il moralismo. Nel 1994 Montanelli lo loda al festival dell'Unità. Ma non ha veri eredi.

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